Il carro dei sogni

Nato nel 1945 al Ponte agli Stolli dove tuttora vi abito, dal 1956 al 1960 vissi in trasloco con la famiglia a Le Case, un piccolo borgo sopra e quasi a ridosso del paesino di Dudda, nel comune di Greve in Chianti.
La facciata della nostra casa, come le altre due ai suoi lati era prospiciente su di una piccola aia contadina cinta in parte da un muretto sotto il quale, una ciottolosa strada scendeva giù nei campi. Nelle altre due case adiacenti vi abitavano famiglie contadine e quella piccola aia sterrata era il loro spazio utilizzato per le varie attività legate al lavoro nei campi.
Amico dei figli di quei contadini, anch'io partecipavo a queste, impiegandovi la maggior parte del mio tempo libero.
Ricordo quella sera d'estate di luna piena quando la mia amichetta Mariarosa ed io aspettavamo in gran fermento il suo babbo Berto mentre aggiogava i buoi davanti al carro per portare il grano all'aia. Avevamo cenato da poco e già iniziava l'imbrunire, mentre le fastidiose aggressioni delle insolenti mosche e tafani sulla pelle dei pazienti buoi si facevano sempre meno aggressive, la piena luna sorgente lentamente s'alzava nel cielo.
Berto, attaccata al giogo la stanga del carro e impugnata la cavezza dei buoi imboccava con questi la ciottolosa strada in discesa mentre Mariarosa ed io correvamo subito dietro al carro impugnando saldamente la fune della martinicca per frenarlo lungo quella scoscesa che portava ai campi di grano. Dopo molti traballamenti del carro, quella strada in discesa ora s'era gradualmente fatta pianeggiante entrando nella radura di Pogliano già disseminata qua e là di covoni del grano da poco mietuto, ammucchiati a capannelli fra i robusti loppi nei cui tronchi si vedevano alcune cavità dove vi nidificavano gufi e civette.
Poi noi due, saliti sul carro agguantavamo i primi covoni che suo babbo Berto ci porgeva infilzandoli lungo tutte le quattro spine poste agli angoli del suo ripiano per conferire più stabilità a quel carico in corso. Stavamo così in piedi indaffarati sopra quell'aumentata pila, mentre Berto ora, impugnato il bidente di legno fatto di sua propria mano, inforcava ad uno ad uno gli altri covoni gettandoli a noi sul carro dove quel crescente mucchio stava diventando sempre più alto sotto i nostri piedi.
Terminato il carico, ora noi due da lassù in cima a quella pila di covoni di grano ordinatamente ammassati ci trovavamo talmente alti da terra da poter vedere appena i contorni del carro e le teste dei buoi mentre Berto ci gettava la matassa della fune affinché la facessimo ricadere dalla parte opposta per legare quel morbido carico in modo che fosse ben fissato per non far cadere nessun covone durante il percorso di ritorno; poi Berto rimessosi davanti ai buoi e impugnata di nuovo la cavezza riportava il carro su quella sassosa strada verso l'aia di casa.
Intanto era giunta da poco la notte e la luna s'era alzata ancor più all'orizzonte campeggiando netta e chiara nel cielo. Mariarosa ed io dalla cima di quel traballante carico, udivamo sotto di noi il rumore degli scossoni delle ruote del carro sui sassi giungerci come ovattato e lontano, mentre tutt'intorno fra il baluginìo lunare dei campi echeggiava sempre più vasto il trillare dei grilli. Allora, mano nella mano, ci distendevamo sul soffice tappeto di covoni odoranti di quel grano appena mietuto, fissando attoniti quel vasto cielo stellato. Ricordo quella calda manina serrata nella mia stando così distesi supini in quasi in religioso silenzio su quell'accogliente e morbido giaciglio, mentre io mi sentivo come rapito fissando la candida e traballante luna su alta nel cielo.
Ma soprattutto ricordo che proprio in quei magici momenti avvertii nel mio profondo e solo per un attimo che essi non sarebbero ritornati mai più.
Ancora oggi, trovandomi già avanti con gli anni, questo vivo ricordo del portare il grano all'aia mi riappare ogni volta sempre più chiaro alla mente sorretto dai tanti altri formanti tutti un dolce coro interiore che sembra velarsi da un sommesso lamento: e così mi rivedo con la granata in mano mentre spargo la buina sullo sterro dell'aia preparandola per la battitura del grano, aspettando poi che il cocente sole ne formi una morbida crosta sulla quale ci camminavo sopra a piedi nudi; rivedo il contadino Berto nella stalla, contento per il felice parto della sua vacca da poco avvenuto, intento a tuffare nella buca di scarico dei liquami la sua voluminosa placenta mescolata con la spoglia di serpe per propiziare così una sana crescita del vitellino; mi rivedo con Mariarosa e Silvano a coccoloni sull'erpice trascinato dai buoi nel campo coltrato per dissodarne le zolle; rivedo il vecchio Pasquino sull'aia col vaglio colmo di piante di fagioli già battute dal correggiato alzare ogni tanto l'indice appena bagnato dalla saliva per captare il favorevole vento; mi rivedo ancora con Mariarosa nell'oscuro stanzone accanto alla stalla, ambedue affannati e rossi in viso impugnanti la leva della ruota del falcione facendo il segato che via via scorreva uscendo dalla sua canalina formando sul pavimento un crescente monticello d'erba appena tagliata sul quale alla fine, così tutti sudati ci tuffavamo ambedue dentro, inebriandoci del suo intenso odore.

Sono questi e i tanti altri ricordi di quei miei quattro anni vissuti in seno a quelle famiglie contadine che ancora oggi sovente ritornano, mi accompagnano e mi sorreggono infondendomi ogni volta dolce calma e profondo respiro; un respiro somigliante a quel vento che carezzava inatteso quelle messi ondeggianti nei campi entro lo scenario di una luminosa campagna che ancora oggi ai miei occhi si fa ogni volta sempre più verde.

Verde, verde, verde.

Giorgio Verniani, 30 aprile 2020

  • Battitura sull'aia de Le Case
  • Berto nel suo campo con un amico
  • Le Case e la strada dall'aia ai campi
  • Le Case. Dopo la battitura 1959
  • Maria tosa la pecora sul carro di Berto
  • Silvano coi buoi del babbo Berto
  • Sulla treggia di Berto